(la Quaresima)
Curuèmm è presentata come una donna vecchia, brutta, rinsecchita, sdentata. Fa paura solo a pensarla ma, poverina, non è colpa sua. È appena passato il carnevale con i suoi eccessi, le sue burle, e il martedì grasso è ancora nell’aria. Il giorno successivo si celebrano le Sacre Ceneri e poi arriva Lei, Curuèmm la Quaresima.
È il momento della purificazione, del pentimento, del digiuno ecco perché, nella rappresentazione, è secca, debilitata, imbruttita. È in attesa della Pasqua, della resurrezione, della vita che si rinnova.
Il pupazzo o fantoccio, Curuèmm, si prepara il mercoledì delle Ceneri, o anche prima.
Nella tradizione popolare villapianese, il fantoccio, ha le sembianze di una donna. Per creare il sostegno, si legano dei legnetti bloccati in modo da formare una croce, in alternativa si può utilizzare un attaccapanni raddrizzando opportunamente il gancio che sosterrà la testa. Il corpo è formato da un maglione o una veste tassativamente di colore nero, la testa sarà un’arancia selvatica, u ruànch’ in lingua locale, le gambe, che si possono omettere, si formano con delle calze riempite di paglia, di carta, stoffe o quello che si ha al momento; per le braccia si segue la stessa procedura come per le gambe. Basta dare solo un minimo di forma.
Sull’arancia, la testa, sono inserite a raggiera, delle penne di gallina o comunque di un volatile. La penna centrale dovrebbe, essere di colore diverso dalle altre. Ultimata la costruzione di Curuèmm, si appende il giovedì successivo al mercoledì delle Ceneri, all’esterno della casa, sotto a un balcone o dove abbia un minimo di riparo. Le penne, che sono sette, corrispondono alle domeniche di Quaresima, a ogni domenica se ne elimina una, badando di far rimanere per ultima, quella centrale. L’ultima si elimina la domenica di Pasqua e a questo punto il fantoccio, Curuèmm, viene bruciato. Generalmente il compito di tirare le penne e di bruciare il pupazzo era affidato al più piccolo o piccola, in casa.
Nei primi giorni di quaresima, forse perché il carnevale era appena finito e non si voleva ancora abbandonare il carattere goliardico, tra i più giovani si usava dire, facendo cenno con il dito: “guarda, ti si sono sciolti i lacci delle scarpe“. A questo punto, ma veniva anche d’istinto, si abbassavano gli occhi per controllare e quello continuava con aria furbetta: “Curuèmm cu i mustuàzz’“ che letteralmente significa “Quaresima con i baffi“, sinceramente non saprei darne una spiegazione.
La Quaresima era, ma lo è ancora adesso, periodo di digiuno, purificazione, penitenza, preghiera ma anche di astinenza.
Astinenza era anche non mangiare carne ma non da intendersi solo come alimento bensì come anche il non avere contatti, rapporti con il coniuge. Proprio per questo, per non cadere in tentazioni, gli uomini che avevano lavoro lontano da casa, non vi facevano ritorno per tutto il periodo quaresimale. In pratica facevano astinenza dalla carne intesa come rapporto con l’altro sesso.
La domenica di Pasqua, con la Resurrezione, finite penitenze, digiuni e restrizioni varie, le mogli con figli al seguito, preparati cullùr’e pizz’cu’llüv’, casatèll’, frittèt’ cu u pallàcc’ e li sparic, si preparavano per la festa. In un cesto mettevano tutto il ben di Dio preparato e si recavano, portando questo festoso fardello in equilibrio perfetto sulla testa, dai consorti per festeggiare la Santa Pasqua ed il ricongiungimento familiare. Federico De Marco